Daniel

Daniel

Sì, sono fuori moda. Perché? Perché mi mancano i Natali di una volta. Ne sento la mancanza perché allora si credeva in qualcosa. Forse eravamo ingenui, certo, e subivamo anche dei condizionamenti, ma almeno li vivevamo, quei Natali, avevamo fede nella nostra fede…

Credevamo che Gesù fosse davvero nato un 24 dicembre a mezzanotte, ed eravamo sicuri che fosse esistita una mangiatoia con il bue e l’asino, e che fuori nevicava. E poi ascoltavamo commossi la Pastorale des Santons de Provence (canto natalizio della tradizione provenzale, ndt).

Dal canto suo, Babbo Natale aveva l’aria autentica, credeva in se stesso e non lo si trovava a distribuire buoni sconto nei centri commerciali. Per farla breve, tutto ciò conteneva un bel po’ di felicità perché era vissuto con innocente semplicità.

Oggi, Babbo Natale non ha più molto successo tra i bambini, che spesso gli preferiscono qualche grosso mostro di Halloween. Interessa solo se prende sul serio i nostri “ordini” portandoci le ultime, indispensabili novità tecnologiche reclamizzate in televisione.

Quanto a Gesù, la maggioranza se ne infischia altamente. Abbiamo tutti capito che non era nato nel solstizio d’inverno e che su di lui ci hanno raccontato un sacco di bugie. Qualcuno dice persino che non sarebbe mai esistito. E allora… evitiamo di parlarne, proprio per non sembrare fuori moda, come me in questo momento, per esempio.

Oggi siamo diventati grandi e più responsabili, o almeno così sembra. Persino i bambini, d’altronde, sono “cresciuti”, e ci guardano divertiti perché, da quando il cellulare non serve solo più a telefonare, facciamo fatica a usarlo. Parlo del cellulare che ci siamo regalati da soli, certo, non di quello che avremmo potuto trovare sotto l’albero la notte di Natale. E comunque l’attesa sarebbe stata troppo lunga!

Sì, abbiamo denunciato le vecchie bugie per diventare più “realisti”, per comunicare meglio – così si dice –, per saperne di più e per usare più senso critico. Certo, era inevitabile che succedesse, un giorno o l’altro. È vero, solo che…

Solo che distruggere, sciupare una certa magia – forse discutibile, ma che portava con sé molta gioia – senza essere in grado di costruire un qualcosa di bello che ne prenda il posto, non si può certo definire un segno di intelligenza né di successo.

Per caso difendo la menzogna o la frode di cui le Chiese e le passate generazioni si sono fatte portavoce?

Evidentemente no… sono semplicemente contrario a uccidere l’anima di una società e, di conseguenza, quella di coloro che la compongono e che troppo spesso si disperano perché non trovano un senso a ciò che fanno. Sono per l’espressione e il rispetto del meraviglioso, perché il meraviglioso è uno degli alimenti base dell’essere umano. Gli riscalda il cuore e, proprio per questo motivo, concorre a creare l’armonia della vita. È l’essenza di ogni vita, è la legge dell’Universo.

Lo so… mi si replicherà che oggi il meraviglioso è sempre presente… per esempio nelle grandi produzioni cinematografiche alla moda. Apparentemente è così… ma non sto parlando della versione hollywoodiana del meraviglioso. Quel meraviglioso non è veramente tale. Si tratta piuttosto di qualcosa di “fantastico”, che è ben diverso… E d’altronde, avete notato che questo fantastico, per quanto possa essere seducente, incoraggia sempre un certo gusto per il potere e una violenza sottilmente distillata?

No… vi parlo del vero Meraviglioso. È molto più semplice. Lascia intatta la parte creativa di ognuno rendendogli la propria iconografia, un vero e proprio mondo che “non surriscalda i neuroni” e non fa crescere il consumo di Ritalin (farmaco stimolante utilizzato in medicina per il trattamento del disturbo da deficit dell’attenzione e iperattività (ADHD) in bambini e in adulti, ndt). Parlo del Meraviglioso che meraviglia e intenerisce l’anima.

Credo che un giorno, quando avremo consumato tutti gli artifici dell’industria del virtuale, per forza di cose il Meraviglioso riapparirà. E d’altronde scommetto che, negli anni a venire, molti di noi rischieranno di soffocare a forza di non credere più in nulla di luminoso e di vedere soltanto attraverso il dio delle microtastiere e lo spirito del digitale.

Pensiamo di essere più adulti solo perché ci siamo liberati di alcuni aspetti puerili del passato, tuttavia la verità è che siamo caduti in un altro tipo di infantilismo, ahimé, assai più arido…

In effetti, avete notato che, alla fin fine, non abbiamo fatto che spostare da un punto a un altro il nostro bisogno di credere in “qualcosa” più grande di noi?

Mentre i divi dello spettacolo vengono idolatrati – tra di loro ci sono persino delle “madonne” – i nostri computer (in francese ordinateur: sapevate che nei secoli scorsi l’Ordonnateur o il grande Ordonnateur erano nomi attribuiti al concetto di Dio?) usano delle “icone” e ci invitano a frequentare social network in cui ci si sceglie un “avatar”… Le parole del linguaggio dello spirito sono sempre lì, a nostra insaputa… come per ricordarci le nostre aspettative, profonde anche se inconfessate.

Avete già ricevuto un po’ d’amore da una macchina? A me non è ancora capitato. E poi… hanno un bel provare a farmi credere che potrei farmi velocemente migliaia di amici con un mago chiamato “Faccia di caprone” (in francese Face de bouc, allusione a Facebook, ndt)… non è quel genere i “amicizia” effimera e divoratrice di energia che sto cercando.

In definitiva, preferisco sentire un cuore che batte, che sa ancora pregare, anche se ingenuamente, e per cui il Natale sia qualcosa di diverso da un “party rock” in un ristorante. Infine, vi confesso che mi piace sempre aspettare la mezzanotte ascoltando certi canti.

Ve l’avevo detto, sono fuori moda…

© DANIEL MEUROIS
traduzione di Renata Germanet